Il mio cappello.

Il Comandante del mio Reggimento, l’ 8° Alpini, colonnello Nerio Bianchi, il 3 settembre 1969, oltre al “Foglio di Congedo Illimitato”, mi aveva consegnato una cartolina.

 Sul “verso” il cappello alpino tra lo stemma dell’ANA ed il fregio del  Reggimento nel quale, al Battaglione Tolmezzo, 72^ Compagnia, Cazzuta, avevo prestato servizio si legge, a proposito del nostro Cappello Alpino, una ‘preghiera’ che tutti coloro che (effettivamente e affettivamente) hanno prestato servizio tra le penne nere dovrebbero ricordare.
“E’ il mio sudore che ti ha bagnato e le lacrime che gli occhi piangevano e tu dicevi: ‘nebbia schifa’./ Polvere di strade, sole di estati, pioggia e fango di terre balorde, gli hanno dato il colore./ Neve e vento e freddo di notti infinite, pesi di zaini e sacchi, colpi d’armi e impronte di sassi, gli hanno dato la forma./ Un cappello così hanno messo sulle croci dei morti sepolti nella terra scura, lo hanno baciato i moribondi come baciavano la mamma./ L’han tenuto come una bandiera./ Lo hanno portato sempre./ Insegna nel combattimento e guanciale per le notti./ Vangelo per i giuramenti e coppa per la sete./ Amore per il cuore e canzone di dolore. / Per un Alpino il suo CAPPELLO è TUTTO”.
 Sarebbe, perìò, opportuno che questa “preghiera” venisse diffusa anche tra i soci aggregati, almeno tra quelli che si ostinano a pretendere di indossarlo e che, addirittura, lo indossano comunque, spesso tollerati dai Capigruppo. Ma anche a quanti che, per quindici giorni o poco più (così detta mini-naja), hanno frequentato, frequentano o frequenteranno le caserme, hanno la pretesa di indossare un Cappello che non è il loro anche se donato a fine corso.
Sul “retro” della cartolina quindici righe vergate a mano con firma autografa del Colonnello Comandante che ritengo di riportare.
“Caro ‘vecio’, ecco giunto il momento in cui, smessa la divisa che hai indossato per tanti mesi, entri nell’Associazione Nazionale Alpini, la grande famiglia degli ‘scarponi’ in congedo.
Della divisa, perìò, porti a casa il capo più bello: il cappello alpino, che è la nostra bandiera.
Non maltrattarlo: esso è un simbolo reso sacro da tante eroiche memorie; non renderlo brutto e ridicolo tagliandolo, deformandolo e coprendolo di medagliette, di fronzoli, di pennacchi; esso è un copricapo da soldati, non un berrettuccio da pagliacci.
Sii fiero del tuo cappello e tienilo da conto per le adunate dell’ANA; se ne avrai cura, dimostrerai di essere, anche in borghese, un degno alpino del nostro glorioso ‘Ottavo’.
Ti saluta con affetto il tuo Colonnello Nerio Bianchi”.
N.B. Io sono anche socio aggregato dell’Associazione Carabinieri ma mai mi sognerei di indossare la”bustina” e gli alamari. Non mi appartengono!…se non per amicizia. Ma è tutta un’altra cosa.

Fausto Coradduzza

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