11 Dicembre 2024

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Umanisti a Tolmezzo nel 1500. Libro di Ermes Dorigo

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Copertina del libro di Dorigo "Umanisto a Tolmezzo nel 1500"

“Umanisti a Tolmezzo nel 1500” è il titolo dell’opera definitiva che Ermes Dorigo, intellettuale di punta della Carnia, ha editato – si trova in tutte le librerie e le edicole di Tolmezzo

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Copertina del libro di Dorigo “Umanisto a Tolmezzo nel 1500”

, ma anche nei paesi – in questi giorni per Andrea Moro Editore (460 pagine), pubblicato grazie a: Camera di Commercio di Udine, Comunità Montana della Carnia, Città di Tolmezzo. Frutto di un lavoro di tre anni la vera finalità di fondo è ridestare l’interesse sempre più sbiadito per la classicità e i suoi valori perenni del Bene, del Bello, del Vero.

Un percorso di lettura per il libro:
PRIMA PARTE
SECONDA PARTE

Udine nel 1594 descritta dall’umanista tolmezzino Raffaele Cilllenio nell’orazione tenuta quando gli fu conferito l’incarico di insegnamento della lingua latina e greca nella capitale della Patria del Friuli.

[…] Vedo, infatti, di essere venuto in una tale città, e davvero ne gioisco intimamente, alla quale possano essere paragonate in questo tempo senz’altro pochissime altre città in Italia, e addirittura nella stessa Europa, sia che tu guardi la posizione della città sia lo stesso cielo aperto, del quale nulla di più piacevole, di più allietante, niente di più salubre potrebbe essere percepito con gli occhi. Al che se si aggiungerà anche, com’è iniziata, la fortificazione di questa città, che con grande energia per volontà del saggissimo Senato il nostro Serenissimo Principe edifica, per contraccambiare con questo privilegio la vostra perpetua e comprovata fedeltà nei suoi confronti, quali minacce di barbari temeremo più, quali incursioni di nemici, protetti da un fossato, da bastioni, da una cinta inespugnabile di mura? Se, inoltre, prendiamo in considerazione e le opere e la nobiltà e la cultura dei cittadini, senza dubbio questa città è unica, tale che a nessuna delle altre, per quanto molto più grandi, si possa giudicare debba essere inferiore per prestigio. E se guardiamo attentamente gli illustri edifici di essa sia pubblici che privati, sembra di scorgere una qual maestosità non altrimenti che le dimore degli stessi Celesti. E che cosa di più splendido si può contemplare di quella rocca, che voi chiamate Castello, dalla quale come da una sorta di osservatorio nitidissimo é possibile vedere sia le montagne stesse che tutte le pianure in ogni direzione fino al mare? E se in cielo si dovesse innalzare una costruzione, essa non potrebbe avere una forma diversa. E questa giustamente è diventata la sede dai magnificentissimi Pretori, inviati dall’illustrissimo Senato Veneto per l’amministrazione di questa Patria, affinché siano difensori contro la temerità e controllori di ogni carica. E questa sede oggi onora con la sua presenza il nostro illustrissimo Pretore, Marco Quirino, che celebro con onore e ammirazione come sommo presidio e ornamento della Repubblica, non solo per la stirpe e i natali, ma in verità in quanto molto illustre e molto celebre per la virtù, per la sapienza, e anzitutto di gran lunga per la divina eloquenza. E che dirò dei tanti religiosi e delle sacre suore, che servono Dio, ogni giorno innalzando inni, nei santissimi conventi, che mirabilmente abbelliscono questa città: e soprattutto di quel tempio grandissimo e molto solenne, pavimentato in forma molto piacevole con pietre marmoree e regolari, ornato con maestria di altari e di tenui fiaccole, risuonante degli accordi armoniosi e dei suoni degli organi, grandi e pregiati, di eccellenti musicisti, con la cattedrale di quale delle città Italiche può essere messo alla pari? E che dire del granaio pubblico e del pietoso Monte dei Pegni, che istituiste, per alleviare la povertà dei non abbienti, nelle grinfie degli usurai? Mancava una tipografia, già da gran tempo aperta dai nostri antenati, ma non so per quale malvagità dei tempi assai a lungo dismessa; essa infine molto saggiamente é stata riaperta, affinché attraverso essa le opere di pensiero dei validi ingegni elaborate con estrema cura potessero essere tramandate alla posterità. Queste cose senza dubbio sono di tal fatta che si deve pensare che sia avvenuto per divino consiglio che la distruzione di Aquileia sia stata compensata con la magnificenza di questa città. Ed essa, invero, non è solo metropoli di tutta questa regione, ma anche può essere definita in certo qual modo emporio, dove vengono importate le merci, e tutti i mercanti vi confluiscono, così che nulla manca né ai residenti né a coloro che vengono da fuori, di ciò che é necessario e per quanto riguarda i viveri e per quanto riguarda l’abbigliamento, dal momento che ogni otto giorni c’è il mercato, che non può essere paragonato con quelli estemporanei di altre città, che sono solite organizzarlo una volta soltanto ogni anno. Qui, inoltre, c’è la sede della Giustizia [il Tribunale], senza la quale non può esserci nessuna unione degli uomini tra loro, nessuna comunanza di vita, non regna alcuna pietà, bontà, liberalità, amicizia benevolente, che sono invero di tale genere, delle quali quelle città che ne sono ornate, queste fruiscono di una pace molto serena, come molto giustamente cantò Esiodo; abbondano di ricchezze e di ogni genere di beni, fioriscono sempre più di giorno in giorno, crescono molto prosperamente. Infatti, lo splendore della Giustizia nel momento in cui si estende ampiamente e penetra, come un raggio, nelle altre virtù giustamente e dai Poeti e dai Filosofi è paragonata a Espero e Lucifero. Infatti, è di tal fatta che sembra abbia assorbito in sé tutte le altre. Ed essa senz’altro più luminosa di tutte Platone definisce armonia di tutte le forze dell’anima. In verità, come la costituzione di un corpo equilibrato produce una buona salute e la conserva, così i moti placati dell’animo e le passioni sottomesse alla ragione generano giustizia ed equità. Ed essa sempre Platone definisce ora virtù universale ora compimento delle virtù, ora serenità dell’anima, la quale infine ci fa pervenire a quel sommo bene, che tutti per natura desiderano. Essa genera la temperanza, che subordinando alla ragione la licenza e gli altri non retti istinti dell’animo, e placando e reprimendo tutte le passioni, aggiunge per così dire una qual bellezza alla vita, e conduce alla moderazione di tutte le bramosie. Questa medesima attrae a sé pure la fortezza e la prudenza, delle quali una, se è congiunta alla grandezza d’animo, la si vede soprattutto nei momenti di pericolo e di travaglio. L’altra è più inclinata alla percezione della verità, ed è propria della ragione, che insegna a compiere la scelta su tutte le cose o da desiderare o da evitare. E tutte queste virtù intrecciate e unite tra loro producono talvolta un prodigioso accordo armonioso al punto che sembra esistere un’unica virtù, non tante secondo anche l’opinione degli Stoici. Dunque amavo anche prima per questi validissimi motivi questa nobilissima e floridissima città, e al solo nome della stessa mi confortavo assai, quando pensavo dentro di me a quale grande numero di uomini nobili si trovasse in essa, a quale abbondanza di uomini eruditi, infine a quanti numerosi uomini preparatissimi nella scienza dell’arte militare e celeberrimi per ogni guerresca lode. Perché dunque non amarla? Dal momento che essa è quasi in questo tempo sulla terra unica dimora della virtù, della sapienza, della nobiltà? Dalla quale come da una dispensa e da un ricchissimo magazzino, i Pretori, che avrebbero dovuto recarsi nelle province, presero l’abitudine di scegliere e associare a sé giudici, che facessero le proprie veci nell’amministrazione della giustizia. Inoltre da qui provennero, e ancora ci sono, molti, insegnanti anche in pubblici e famosissimi Ginnasi d’Italia, tali che possono far accorrere uditori delle loro finissime interpretazioni del sapere anche dalle terre più remote. Che dunque? Quanto vale ciò? Che io sia ammesso in una città, dove è possibile godere della frequentazione di uomini di tal fatta, che possono aiutare col senno, difendere con la protezione e dilettare con piacevole umanità. Dove io possa, per quanto mi è possibile, riscattare dalla morte le lettere greche e latine, piante come quasi perdute, e debba motivare la gioventù allo studio delle stesse: proprio quelle che insegnarono un tempo tanti uomini che eccellevano in ogni sapere, Sabellico, Filomuso, Amaseo, Privitelio, Fausto e altri dei quali voi stessi ricordate giustamente i nomi. E quando ciò sarà da me fatto (perché, infatti, non dovrei sperare che lo sarà? ricordando che questa stessa opera è stata un tempo compiuta con diligenza e approvata anche in altre illustri città , e desiderata inoltre da molti), se poi si compisse per destino che presso di voi abbia termine il corso di questa mia vita tra voi mi rallegrerò, e le mie ceneri riposeranno allora senza dubbio con grandissima gioia dentro il vostro amore e la vostra benevolenza.

(traduzione dal latino di Ermes Dorigo)
Leggi la bibliografia completa di Ermes Dorigo

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