Scrittori friulani: intervista al carnico Tobias Fior
9 min readLa Carnia annovera molti giovani artisti. Oggi ci occupiamo di uno scrittore, il dannunzista Tobias Fior, autore di numerose pubblicazioni e collaborazioni con vari autori. Tra le altre, prima dell’intervista che ci ha rilasciato, segnaliamo:
– “Il tema delle mani nell’opera dannunziana” studio su “Rassegna dannunziana” n°54, ottobre 2008.
– Collaborazione per il libro di Attilio Mazza, “D’Annunzio e l’Aldilà” (Ianieri Editore, Pescara, 2011).
– Prefazione alla raccolta di poesie di Edoardo Quaglia “Rivi Seccati” (L’Autore Libri Firenze, 2009).
– Prefazione alla raccolta di poesie di Rosalba Katiuscia Buongiorno “Cuore di carta” (Montedit, 2012).
– Citazione nella bibliografia dello studio di Matteo Tuveri “Elsa et Louis: phénoménologie de l’amour contemporain“, inserito nell’antologia “L’identité féminine dans l’oeuvre d’Elsa Triolet“.
INTERVISTA A TOBIAS FIOR,
di Luca Coradduzza:
Come ti sei reso conto che ti piaceva scrivere e quando hai cominciato a farlo?
Ho sempre avuto il pallino per la scrittura fin da bambino, diciamo che si è sviluppata parallelamente alla mia passione per la lettura. Da bambino amavo scrivere i temi a scuola e da lì si è evoluto piano piano il mio amore per la scrittura, cominciando a scrivere i primi racconti a dodici-
tredici anni quasi come una forma di sfogo personale, un’eruzione di idee e di sentimenti che trovavo difficile esprimere a voce. Trovavo nella scrittura un rifugio e, allo stesso tempo, un modo per sfogare tutte le mie emozioni. Ma il vero consolidamento alla scrittura è avvenuto con la stesura delle prime poesie e la composizione delle prime raccolte a quindici-sedici anni, poco prima dell’inizio della stesura del mio primo romanzo “Notte”.
C’è qualche autore, attuale o del passato, che ti piace particolarmente o dal quale trai ispirazione?
Mi sono reso conto che gli autori che mi piacciono in modo particolare aumentano con gli anni, forse è anche un modo per constatare il mio grado di conoscenza del mondo della letteratura e dei suoi autori. Ho cominciato amando e prendendo ispirazione (e in parte anche forza) dai classici, da
Gabriele d’Annunzio a Oscar Wilde, da Marcel Proust a Dino Campana. Poi con il tempo ho cominciato a concentrarmi sugli autori più moderni e di genere completamente diverso, amo la prosa e lo stile inconfondibile di Stephen King e i romanzi surreali, ma allo stesso tempo molto profondi di Haruki Murakami. In questi ultimi anni ho amato molto i romanzi gialli svedesi da Stieg Larsson a Liza Marklund, per il particolare modo di affrontare la trama e le tematiche e di costruire gli intrecci.
Ma assieme alla lettura e conoscenza di questi vari autori sto imparando lentamente a formare un mio stile, a prendere il meglio dai vari autori e dai vari generi, per poter scoprire interiormente anche il meglio di me e poi metterlo nero su bianco. Cerco in qualche modo di non appoggiarmi più di tanto agli autori, come è successo con d’Annunzio, per non rischiare di diventare una mera copia.
Cerco di far emergere il mio essere scrittore e allo stesso tempo il mio essere umano, con i suoi pensieri e le sue emozioni.
Come mai un libro proprio sul D’Annunzio?
Ho sempre ritenuto che d’Annunzio fosse ritenuto da molti ciò che in realtà era solo in minima parte. Presentato da molti come un istrione, un donnaiolo, un esteta esagerato, in pochi hanno veramente compreso ciò che davvero era sotto la maschera che indossava continuamente per nascondere il proprio vero Sé. Quello che ho voluto fare con questo libro è stato presentare d’Annunzio sotto un aspetto diverso da come solitamente viene presentato. Abbandoniamo per un attimo il geniale saltimbanco che sapeva apparire su tutti i rotocalchi dell’epoca per le sue mani bucate, per le sue numerose relazioni amorose e prendiamo in mano il d’Annunzio uomo, quello che piangeva al Vittoriale sotto il peso dei ricordi passati, quando i fantasmi delle sue memorie lentamente tornavano a chiedergli il conto. Prendiamo il d’Annunzio che soffre in silenzio davanti alla morte della madre, o il d’Annunzio che fa di tutto per riportare la salma della Duse in Patria,
dopo averla definita “colei che non meritai”. Per un attimo prendiamo solamente questo d’Annunzio e lo si vedrà sotto una luce diversa, più umana e meno spettacolare.
Quale aspetto della sua vita ti ha colpito ed affascinato di più?
Quando cominciai a leggere (e successivamente a studiare) la vita e le opere di d’Annunzio, avevo quindici anni, ero in una fase dell’adolescenza in cui leggere le gesta spropositate, eccessive, erotiche ed eroiche, mette in uno stato d’animo di esaltazione e rende più affascinante la stessa biografia. Eppure oltre a queste gesta eclatanti ed eccentriche vi sono quegli aspetti poco conosciuti del d’Annunzio che lo rendono ancora più affascinante, ovvero quegli episodi della sua vita in cui si scorge l’essere umano umile e sincero in lui, al di là del personaggio costruito in base alla propria arte (e non viceversa). Queste caratteristiche nascoste e quasi mai portate all’attenzione delle masse
e sempre di più trascurate lo fanno vedere sotto un’altra luce, una luce più dolce, che lo rende più accettabile.
“«Questo ferale taedium vitae». La depressione di d’Annunzio” è un volume che analizza la vita dell’esteta da un punto di vista che forse non tutti conoscono od hanno approfondito.
Come mai hai analizzato questo ambito? Cosa hai scoperto?
Ho cominciato ad approfondire questo aspetto della vita di d’Annunzio grazie al contatto e alla collaborazione che ho avuto con lo studioso Attilio Mazza (1935-2015), che fu il mio mentore e a cui devo molto sul piano letterario e anche sul piano dell’appoggio negli studi dannunziani. Attilio Mazza nel suo libro “D’Annunzio Orbo Veggente” metteva alcuni punti in risalto per quanto riguarda una possibile depressione di d’Annunzio e ancor di più ipotizzava la morte per suicidio del grande Vate d’Italia. Da queste ipotesi ho cominciato piano piano a rileggere alcuni passaggi dei romanzi autobiografici di d’Annunzio (dal “Notturno” al “Libro Segreto”) e a rivedere sotto un’altra luce certe espressioni, certi punti che inizialmente si tende a tralasciare quasi si volesse accettare senza obiezioni il d’Annunzio che unisce Arte e Vita, fino a farne un unicum da cui è impossibile cavarne qualcosa di davvero utile. Eppure da questi piccoli passaggi ho potuto rileggere d’Annunzio sotto una luce diversa, ben conscio che stavo cominciando a percorrere un campo minato. Ma sulla base di alcuni indizi di fattore psicologico e biografico sono riuscito a risalire alle possibili cause della depressione dannunziana. Ho avuto modo di riprendere in mano alche alcuni piccoli aspetto che spesso non vengono tenuti in considerazione neppure dai più eminenti studiosi, come per esempio il piccolo canzoniere “In Memoriam”. Pubblicato nel 1880 in seguito al successo della raccolta “Primo vere”, ricette dure critiche e il giovane d’Annunzio lo ritirò dal mercato distruggendone quasi tutte le copie. Leggere i sonetti dedicati alla defunta nonna Rita Olimpia Lolli, mi ha permesso per esempio di svelare l’intero processo di elaborazione del lutto del giovane poeta.
Ho avuto modo di prendere in mano alcuni aspetti degli ultimi vent’anni di vita di Gabriele d’Annunzio, come ad esempio il suo rapporto-mania con la cocaina, di cui faceva smodato uso, inventando diversi modi di assunzione (come per esempio unirla alla cera e mettendo l’intruglio
sulle gengive) e questo contribuì in parte a favorire la depressione ormai incombente. Altro aspetto poco considerato e analizzato è la malattia che contrasse a Parigi, la sifilide, che lo segnò nel fisico e nella mente. Per quanto riguarda la depressione in modo più diretto c’è da sottolineare il fatto che
d’Annunzio fosse consapevole dello stato psico-fisico in cui riversava, tanto che negli anni del Vittoriale rifiutò più volte di ricevere il caro amico pescarese e famoso psichiatra Rosalino Colella, che avrebbe potuto senza dubbio aiutarlo. Fece in modo da evitare qualsiasi contatto esterno che potesse rimembrargli la sua situazione critica, tentò numerose volte il suicidio e altrettante
numerose volte lo progettò, segno che il processo depressivo si trovava già in fase avanzata. Non è da escludere nemmeno l’aspetto genetico della depressione dannunziana, lo zio Enrico Rapagnetta (che d’Annunzio amava chiamare Demetrio), fratello del padre, fu vittima di un grave stato
depressivo che lo portò a suicidarsi presso lo stretto di Messina. Nel “Libro Segreto” si legge in maniera profetica: “Come tanti sapori della vita dolosa con tanto studio assaporati potevano disgustarlo di vivere? Egli si uccise, in disparte. Io così mi ucciderò”.
Verrà più volte ricordato da
Gabriele, quasi un fantasma aleggiante nella sua vita e grande spazio prenderà nel romanzo “Trionfo della Morte” (1894) e tra le pagine del già citato “Libro Segreto” (1935).
Il libro su D’Annunzio è la tua seconda fatica letteraria. Il tuo esordio lo hai fatto in campo editoriale con “Notte”, un romanzo coinvolgente pubblicato nel 2008. Di cosa si tratta?
“Notte” lo scrissi tra il marzo e il novembre 2006 in un periodo dal punto di vista emotivo e sentimentale per me molto intenso. “Notte” tratta la storia di un ragazzo, Francesco Adalberti, studente presso il liceo linguistico “F.W. Nietzsche”, è un appassionato seguace di Gabriele d’Annunzio, nell’abito e nella mentalità dandy. Indossa immancabilmente un completo con giacca e cravatta neri, con una vistosa rosa blu all’occhiello. Oltre a questo è un ragazzo dotato di talento ed intelletto (è uno dei migliori studenti del liceo), suona il pianoforte, è un amante di Chopin e dei suoi “Notturni” e compone poesie, ma ha anche grossi problemi con la gestione della rabbia, che
esterna in modi violenti e senza alcuna pietà. Il fatto che però è al centro del romanzo è l’arrivo nella scuola di una nuova professoressa di tedesco, Emanuela Muti, una donna dotata di un fascino e di una bellezza irresistibili, che fanno leva sull’animo di Francesco, che se ne innamora e lentamente riesce a sciogliere il blocco di ghiaccio che attornia il suo animo. Da questo fatto si evolve tutto il romanzo, tutte le vicende che vedono protagonisti Francesco ed Emanuela, un viaggio all’insegna dell’amore e dell’arte.
Già tra le pagine di “Notte” si percepisce un collegamento con D’Annunzio. Scriverai in futuro ancora di lui?
D’Annunzio è stato l’autore che mi ha fatto da guida e da cui ho preso spunto per il primo romanzo, è stato il mio punto d’appoggio. Dopo la pubblicazione nell’ottobre 2008 del primo saggio “Il tema delle mani nell’opera dannunziana” sulla “Rassegna dannunziana” di Pescara, dopo la collaborazione (anche se in minima parte) con Attilio Mazza per il libro “D’Annunzio e l’Aldilà” (Ianieri Editore, pagg. 185, 2011) e successivamente la pubblicazione di “«Questo ferale taedium vitae». La depressione di d’Annunzio” (youcanprint, pagg. 170, 2013), penso che continuerò a scrivere ancora di d’Annunzio, in parte perché sono entrato nel panorama degli studiosi
dannunziani, in parte perché è stato un mio punto di riferimento dal punto di vista letterario, in parte perché continua a emozionarmi e continuo a scoprire sempre più aspetti poco conosciuti che lo rendono ai miei occhi ancora più affascinante. Scriverò ancora di lui, continuerò a scrivere studi e continuerò le mie ricerche, perché da d’Annunzio sono partito come semplice appassionato e mi sono evoluto come studioso, ora come ora mi sento in dovere di continuare a fare in modo di scoprire sempre più cose nuove su questo autore.
Fino ad ora abbiamo guardato al passato. Parlaci un po’ dei tuoi progetti futuri.
Ho diversi progetti per l’immediato futuro. Sto cercando di concentrarmi prevalentemente sul romanzo, anche se ovviamente il mio ruolo di dannunzista mi porta senza dubbio alcuno a concentrarmi anche sui saggi. Entro l’estate uscirà il mio secondo romanzo dal titolo Io sono tornato, un thriller ambientato a Verzegnis; oltre a questo ho messo le basi d’inizio per un altro romanzo dal titolo provvisorio di La meccanica degli affetti, un romanzo che apparirà diverso nello stile, nel genere e nella forma. Sarà il romanzo che vedrà mettere in risalto il mio sé scrittore, più originale, più autentico, con ben poche influenze di altri autori.
Che consiglio vuoi dare agli scrittori esordienti?
Il mio consiglio è quello di non abbattersi mai, di insistere sempre in quello che si fa. Scrivere è vivere, questo è il mio motto che voglio condividere con tutti gli scrittori alle prime armi.
Un altro consiglio che voglio dare a tutti è quello di non fermarsi al primo ostacolo, perché di ostacoli se ne incontrano davvero molti e non solamente nella scrittura, bensì anche dopo la riuscita pubblicazione, non fermatevi alle critiche, non fermatevi alle frecciatine anche quelle meno costruttive e più tese a offendervi, rafforzate la vostra corazza e continuate a scrivere senza farvi abbattere. Continuate a scrivere, a migliorare tutto quello che potete. I risultati non verranno nell’immediato, ma con il tempo e la pratica e sarà da questa fatica che trarrete giovamento!